Molte piccole e medie imprese, quando si parla di Modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del Dlgs 231/2001, si limitano a domandarsi: “Ce l’abbiamo la certificazione 231?”. Un approccio che tradisce una visione riduttiva dello strumento, interpretato come un semplice adempimento formale o come un documento da esibire in caso di necessità.
In realtà, il Modello 231 non è una “certificazione” e non può essere considerato un timbro da conservare nel cassetto: si tratta di un presidio fondamentale per ridurre il rischio di commissione di reati da parte dell’impresa e per ottenere la cosiddetta “esimente” in caso di procedimenti giudiziari.
Tuttavia, la prassi mostra come in molte realtà aziendali italiane il Modello venga adottato solo per “partecipare a gare pubbliche” o per “allinearsi ai concorrenti”. Un approccio che lo rende un documento statico, autoreferenziale e, soprattutto, inefficace.
Le criticità più frequenti riscontrate dai giudici
La giurisprudenza, negli ultimi anni, ha messo in evidenza una serie di errori ricorrenti nell’applicazione della normativa 231. Queste “worst practice” non solo rendono inutile il Modello, ma possono addirittura trasformarlo in un elemento di rischio per l’impresa. Vediamo i principali profili di inadeguatezza individuati dai tribunali e dalla Cassazione.
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Il Modello “copia e incolla”
Uno degli errori più comuni riguarda la predisposizione di Modelli 231 copiati da altri settori o scaricati da internet, senza alcuna personalizzazione. In questi casi:
- vengono inseriti reati che non hanno nulla a che vedere con l’attività aziendale;
- si ignorano i rischi realmente rilevanti;
- manca una mappatura dei processi produttivi e decisionali.
Secondo la Cassazione (sentenza n. 21704/2023), per essere efficace il Modello deve invece identificare con precisione i processi a rischio e costruire protocolli di controllo coerenti con la struttura aziendale.
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Assenza o genericità del risk assessment
Un Modello 231 che non contiene una valutazione dei rischi concreta e aggiornata è da considerarsi inidoneo. Non basta un’analisi formale o generica: occorre individuare puntualmente le aree sensibili, valutare i rischi connessi e definire misure di prevenzione adeguate. La Cassazione (sentenza n. 2768/2025) ha chiarito che l’omissione di questo passaggio costituisce colpa di organizzazione da parte dell’ente.
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Protocolli generici e non operativi
Spesso i protocolli contenuti nel Modello si riducono a semplici enunciazioni di principi, privi di:
- responsabilità definite;
- tracciabilità delle attività;
- integrazione con i processi aziendali esistenti.
In questo modo diventano linee guida teoriche, piuttosto che strumenti concreti di prevenzione. Il Tribunale di Milano (sentenza n. 10748/2021) ha sottolineato la necessità di protocolli chiari, con compiti precisi e procedure effettivamente applicabili.
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Mancanza di aggiornamento e verifiche
Un Modello non può rimanere immutato negli anni: deve essere rivisto e aggiornato ogni volta che cambiano l’organizzazione, i processi o i prodotti dell’impresa. Non solo: è necessario prevedere verifiche periodiche, audit documentati e azioni correttive. In assenza di questi controlli, il Modello perde completamente la sua efficacia.
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Disconnessione dai sistemi di gestione aziendale
Un altro errore frequente è la mancanza di coordinamento tra il Modello 231 e gli altri sistemi di gestione adottati dall’impresa (qualità, sicurezza, ambiente, ecc.). In certi casi si verificano addirittura contraddizioni tra procedure interne e regole previste dal Modello. L’art. 30 del Dlgs 81/2008 prevede, invece, una chiara integrazione tra i sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro e i Modelli organizzativi 231, riconoscendone la presunzione di conformità se coerenti con gli standard ISO.
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Modelli sconosciuti ai dipendenti
Un Modello che rimane confinato agli uffici della direzione è del tutto inutile. Spesso i dipendenti non sanno nemmeno della sua esistenza, non ricevono formazione né informazioni sui protocolli da seguire. Il Tribunale di Milano (sentenza n. 1070/2024) ha ribadito che l’ente ha l’obbligo di diffondere e comunicare il Modello, attraverso attività di formazione qualificate e costanti.
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Whistleblowing non operativo
La normativa prevede che i Modelli contengano canali di segnalazione interna, tutele contro le ritorsioni e un sistema disciplinare idoneo a sanzionare i comportamenti scorretti. Tuttavia, in molte aziende i canali di whistleblowing restano solo sulla carta, senza un reale funzionamento.
Gli Organismi di vigilanza: errori da evitare
Accanto alle criticità del Modello, la giurisprudenza ha censurato anche alcune prassi relative agli Organismi di Vigilanza (OdV).
- OdV “di facciata”: nominati tra consulenti “storici”, amici o parenti dell’imprenditore, privi di budget, di autonomia e di reale accesso ai flussi informativi. In questi casi, è evidente che l’OdV non può svolgere un’attività di controllo effettiva (Cassazione, sentenza n. 4535/2025).
- OdV “iperattivi”: organismi che, al contrario, vengono coinvolti direttamente nelle decisioni aziendali, fino a rilasciare approvazioni, autorizzazioni o addirittura a redigere e aggiornare il Modello. Anche questa impostazione è errata, perché compromette l’indipendenza dell’organo (Cassazione, sentenza n. 23401/2021).
La corretta impostazione richiede che l’OdV operi in piena autonomia, con risorse adeguate e con un ruolo esclusivamente di controllo.
Verso una vera “cultura 231”
Dalle sentenze emerge un messaggio chiaro: un Modello 231 inefficace è non solo inutile, ma dannoso. Può creare confusione organizzativa, esporre l’impresa a rischi legali e compromettere l’immagine aziendale.
La vera sfida per le imprese non è collezionare documenti o “avere il bollino 231”, ma sviluppare una cultura della compliance. Ciò significa:
- personalizzare il Modello 231 in base alle proprie attività e ai propri rischi;
- mantenerlo aggiornato e integrato nei processi aziendali;
- garantire formazione e coinvolgimento del personale;
- istituire un OdV realmente indipendente ed efficace.
Solo così il Modello può diventare uno strumento vivo e funzionale, al pari del bilancio o della strategia di marketing, e contribuire davvero a tutelare l’impresa e i suoi amministratori.
Pe ulteriori informazioni riguardo l’applicazione del Modello 231, rivolgiti a Bottari & Associati. Siamo operativi su tutto il territorio nazionale. Contattaci per una consulenza.